Estratto dal libro “Ipocrisie del potere”

L’ipocrisia è l’anima della politica e crea dipendenza

L’ipocrisia è simulazione di virtù, di sentimenti, di qualità o di intenzioni, allo scopo di farsi benvolere, guadagnarsi la simpatia o trarre in inganno.

Nell’accezione dei comuni mortali l’ipocrisia è un contegno di malcostume, mentre invece in quella dei divini numi della politica, inspiegabilmente, assume inquietanti connotazioni di democratismo o di salvacondotto che garantisce incolumità personale e assoluta impunibilità.

Il fenomeno diviene inquietante se consideriamo che l’intero mondo della politica è sopraffatto dal cancro inveterato dell’ipocrisia, di cui nessun potente nume sembra possa o voglia più liberarsi.

Nella poliedrica realtà del mondo politico, le tipiche regole della sincerità, della schiettezza e dell’onestà sono sovrastate da eccezioni, falsità, ambiguità, finzioni, doppiezze, simulazioni, menzogne e inganni, dissolutezze di costumi che denotano vere e proprie involuzioni, foriere di ineluttabili ipocrisie e di distacco dal rigore morale.

I divini numi della politica, affetti cronici di ipocrisia, sono inclini a seguire più le dissolutezze e le adulterazioni che le regole, con inevitabili negativi contraccolpi e ripercussioni anche sugli sventurati comuni mortali, vittime inconsapevoli.

Il presente saggio offre utili elementi conoscitivi sul sovvertimento delle regole e sul malcostume dell’ipocrisia nell’esercizio del potere, evidenziandone gli effetti devastanti sul tessuto sociale, culturale ed economico.

L’autore

INDICE

CAPITOLO I

Cenni storici

Fin dai tempi dell’antica Roma

Frammenti letterari

CAPITOLO II

L’accezione corrente

I Vangeli

La vita individuale e politica

La dialettica

La scrittura

I media

I signori della politica

CAPITOLO III

Mondo della politica

Promesse elettorali

Diplomazia e sincerità

Scelte politiche preconfezionate

Privilegi di casta

CAPITOLO IV

Radici del male

Rapporti Stato-Chiesa

Rapporti sociali

Crisi di valori

CAPITOLO V

Democrazia e ipocrisia

Italica politica

Identità nazionali a rischio

Sistemi di democrazia

Deficit democratico

Deficit valoriale

CAPITOLO VI

Quelle istituzionali

Quelle di Governo

Quelle della sfera politico-sociale

Quelle sulla «famiglia naturale»

Quelle su temi eticamente sensibili

Quelle di conformisti e omologati

CAPITOLO II

L’accezione corrente – I Vangeli – La vita individuale e politica – La dialettica – La scrittura – I media – I signori della politica

L’accezione corrente

Nell’accezione corrente, l’ipocrisia è intesa come conscia simulazione, come doppiezza, finzione o falsità, principalmente nei rapporti sociali ma anche negli atteggiamenti morali e affettivi. Più comunemente, ipocrisia significa inventare con la mente, non esprimere il vero, affermare ciò che non è, fingere, alterare la verità con piena consapevolezza.

Il malcostume dell’ipocrisia si concretizza nella conscia simulazione di virtù, di buone qualità, di buone intenzioni, di buoni sentimenti, al fine di accattivarsi la stima o il benvolere degli altri o di trarli in inganno, oppure al fine di ottenere un riconoscimento che non spetta.

La simulazione di virtù, di buone qualità, di buone intenzioni, di buoni sentimenti, in casi patologici, può essere anche inconscia ed è tipica delle persone che credono fermamente di essere quello che professano.

Nell’uso comune, il termine assume connotazione negativa dicendo che si nasconde sotto la maschera dell’ipocrisia chi intende guadagnarsi la simpatia delle persone ingannandole, e connotazione positiva dicendo che non conosce ipocrisia chi fa ciò che è buono e giusto senza farsene vanto.

Gli studiosi di psicologia e di etica sociale affermano che l’ipocrisia va considerata come lato oscuro della personalità, chiarendo per contro che nella quotidianità è talmente abusata e diffusa da potersi sarcasticamente definire il motore della vita.

Una persona autentica e non ipocrita è considerata molto pericolosa, perché mette gli ipocriti di fronte alla loro ipocrisia semplicemente vivendo e comportandosi in modo genuino, schietto, sincero.

Secondo detti studiosi, l’uomo può essere ipocrita (dal greco hypokrités – attore) per calcolo, per interesse o per viltà, non solo nei rapporti con gli altri ma anche con se stesso:

  • nei rapporti con gli altri, l’ipocrisia si sostanzia nel nascondere intenzionalmente qualcosa di se stessi, nella prospettiva di supposti vantaggi;
  • nei rapporti con se stesso, l’ipocrisia consiste nel nascondersi qualcosa con costanza e ostinazione, fregandosene totalmente della conoscenza di se e del proprio intimo.

Con riferimento ai contegni, ai modi comportamentali e agli atteggiamenti che assume la persona nel rapportarsi agli altri, è definito ipocrita:

  • chi, intenzionalmente o no, simula buone qualità o buone intenzioni per ottenere un riconoscimento che non gli spetta;
  • chi, occultando quel che pensa ed è realmente, simula atteggiamenti, pensieri e indole che non ha, che non sente e non prova;
  • chi rivela con le labbra quello che non crede nel suo cuore;
  • chi simula virtù che non ha per guadagnarsi la fiducia o la benevolenza di qualcuno;
  • chi afferma una cosa e si comporta in maniera opposta o contraddittoria;
  • chi cerca di difendere le sue azioni con parole inadeguate e sconnesse con i fatti.

Più genericamente, il termine ipocrita si usa anche per indicare chi mente, chi finge spudoratamente, chi delude sfrontatamente, chi fa scelte che danneggiano altri, chi recita una parte in privato e un’altra in pubblico, chi fa il moralista in casa e l’antiproibizionista in politica.

Il concetto di ipocrisia è enunciato in modo esplicito da un famoso proverbio giapponese, secondo cui ogni persona porterebbe tre maschere: «la prima che mostra a conoscenti e sconosciuti, la seconda che mostra a familiari e parenti, la terza che non mostra mai a nessuno perché rappresenta il proprio io».

Secondo i sondaggi, il proverbio giapponese rifletterebbe la realtà, quantomeno della maggior parte delle persone. Comunque sia, rattrista dover constatare che la tendenza alla falsità e all’ipocrisia è molto diffusa tra le persone di ogni età e di ogni ceto sociale: a volte per apparire quello che non siamo, altre volte per paura e istinto di sopravvivenza, altre volte ancora per un sentimento di smarrimento o perché non si sa semplicemente cosa dire.

Se si vogliono vedere le cose come realmente stanno, emerge che, nella quotidianità, il malcostume dell’ipocrisia è come parte di se stessi e più si sale socialmente, più cresce a dismisura.

Se ciò è vero per i comuni mortali, a fortiori lo è per i divini «signori della politica», le cui giornaliere azioni sono caratterizzate da compromessi, tresche, intrighi e intrallazzi, dall’esito dei quali deriva anche il loro personale successo o insuccesso. Ne consegue, fatalmente, che nel loro comune operare si servono dell’ipocrisia come normale strumento operativo e comportamentale per i soliti complotti, per impostare le loro azioni, trame, cospirazioni, raggiri, congiure, macchinazioni, etc.

Ciò dimostra che detti signori sono privi d’identità o ne hanno più di una e intendono supplire a tale squilibrio e divario usando abilmente e accuratamente l’ipocrisia per celare le loro condotte e le loro malefatte.

Resta il fatto che l’ordinario deprecabile ricorso all’ipocrisia da parte degli istrioni «signori della politica», oltre ad essere di pessimo esempio, costituisce la negazione dell’etica, della deontologia e della morale comune.

I vangeli

Il tema dell’ipocrisia è presente nei Vangeli, in particolare di Luca e di Matteo.

Ecco un passo saliente: allora Gesù cominciò a dire ai suoi discepoli: «per prima cosa guardatevi dal lievito dei farisei» (Luca, 12, 1). Con tale espressione Gesù mette in guardia dal lievito (cioè dall’ipocrisia) dei farisei, che erano conosciuti come ipocriti perché recitavano la parte dei giusti mentre in realtà erano pieni di iniquità e ingiustizia. Infatti, i farisei non amavano e non praticavano la giustizia, non amavano e non praticavano la verità.

Nelle sette invettive agli scribi e ai farisei del Vangelo di Matteo (gli scribi avevano il compito di studiare, insegnare e interpretare la legge, mentre i farisei erano la più importante setta politico-religiosa), la parola ipocriti compare ben sei volte:

  • Guai a voi, legisti e farisei ipocriti, che sbarrate la porta del regno dei cieli in faccia alla gente: così non ci entrate voi e impedite l’ingresso a quelli che vogliono entrarci (Matteo, 23, 13);
  • Guai a voi, legisti e farisei ipocriti, che viaggiate per mare e per terra per fare un convertito, e poi lo rendete meritevole dell’inferno due volte più di voi (Matteo, 23, 15);
  • Guai a voi, legisti e farisei ipocriti, che includete nell’offerta al Signore anche la decima parte della mentuccia, dell’origano e del finocchietto e tralasciate le cose più importanti della legge: il diritto, la misericordia e la fedeltà (Matteo, 23, 23);
  • Guai a voi, legisti e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto mentre il loro contenuto è frutto di rapine e di avidità (Matteo, 23, 25);
  • Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro son pieni di ossami e di putredine. Così anche voi, di fuori apparite giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità» (Matteo 23, 27-28);
  • Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché innalzate monumenti funerari ai profeti e a quelli che hanno fatto la volontà di Dio e dite: se fossimo vissuti all’epoca dei nostri antenati, non saremmo stati loro complici nell’uccidere i profeti … (Matteo, 23, 29-30).

Secondo il Vangelo di Matteo, Gesù parla della similitudine degli ipocriti alle vipere, riferendosi agli scribi e ai farisei: serpenti, razza di vipere (Matteo, 23/33); razza di vipere, come potete dir cose buone, essendo malvagi? (Matteo, 12/34). Nella cultura dell’epoca, i serpenti erano noti per la loro astuzia e le vipere, in modo particolare, per la loro pericolosità.

In breve, Gesù ammonisce severamente gli scribi e i farisei in quanto, a causa della loro doppiezza, si mostravano agli uomini sotto la maschera dell’ipocrisia per essere onorati e ossequiati.

Con le invettive di cui sopra, Gesù condanna gli uni e gli altri per il contrasto tra ciò che facevano apparire e ciò che erano veramente.

Gli uni e gli altri dissimulavano i loro veri perfidi intenti e sentimenti e si schermavano dietro un aspetto esteriore di onestà e rettitudine, recitando la parte di persone corrette benchè tali non fossero, quindi indossavano abitualmente la maschera dell’ipocrisia.

Gesù, sentendosi circondato da questi individui che ordivano contro di lui, mette in guardia i suoi discepoli da possibili insidie e paragona l’ipocrisia al lievito, che fermenta la pasta quando viene a contatto.

La persona ipocrita, come il lievito, fermenta a poco a poco tutta la comunità della sua stessa ipocrisia; se poi altri lo seguiranno, il moltiplicarsi degli ipocriti non potrà che cagionare esiti nefasti, mascherati dietro apparenze di bontà, di equità e di correttezza.

Dagli insegnamenti che precedono si desume che le azioni, come anche le parole, rispecchiano, provano, rivelano ciò che siamo veramente.

Perciò, ognuno dovrebbe fare tesoro dell’alto monito di Gesù e nella quotidianità cercare di: dire le cose così come stanno veramente; guardarsi dall’ipocrisia; allontanare qualsiasi forma o contegno di ipocrisia; impegnarsi ad assumere comportamenti corretti; sforzarsi ad essere sincero e leale con tutti.

In realtà, chi più e chi meno, siamo tutti tentati di fariseismo, quando vogliamo apparire anziché essere, quando ci limitiamo a dire anziché a fare e i più esposti sono sicuramente coloro che esercitano qualche forma di potere o rivestono ruoli di responsabilità.

Oggi più che mai, il lievito infausto degli ipocriti non lascia scampo nel mondo della politica, mosso e corroborato dalla brama del potere, dalla smania di garantirsi il controllo sui centri di interesse e dalla voglia irrefrenabile di dominare sugli altri.

È risaputo che, di fatto, l’autenticità di pensiero e di comportamento non trova spazi vitali nei vari ambiti politici, dominati come sono dall’ipocrisia, anzi la sincerità e la genuinità sembrano perfino cose avulse dal sistema e comunque in netto contrasto con l’arte politica.

Chiaramente, finché non viene sconfitto il malcostume dell’ipocrisia dominante negli ambienti politici non possiamo certo aspettarci di conoscere la verità, né possiamo aspettarci progressi o miglioramenti di sorta in nessun campo sociale.

A giudizio degli studiosi di etica sociale aderenti alla trascendenza, la crisi in cui versa la società moderna, a fortiori il mondo della politica, l’allontanamento dai valori civili, etici, sociali, la venuta meno della morale e della rettitudine, sarebbero conseguenze logiche e inevitabili dell’imperialismo, del laicismo e del materialismo. Anche il magistero della Chiesa sarebbe percepito come qualcosa di superfluo e insignificante al vivere quotidiano.

É peraltro assodato che nell’odierna società agnostica e laicista le persone tendono ad estraniarsi, a vivere nell’anonimato e nella solitudine, tendenza questa che potrebbe minare l’idea stessa dello stare insieme e del bene comune.

In tema di cultura e tradizioni cristiane, che taluni oggi tendono a disconoscere, l’agnostico Benedetto Croce (1866-1952, filosofo, storico, politico, critico letterario e scrittore italiano) nel suo saggio Perché non possiamo non dirci cristiani scrive:

«Il cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto … Tutte le altre rivoluzioni non sostengono il suo confronto … Le rivoluzioni che seguirono nei tempi moderni non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana … Sono profondamente convinto e persuaso che il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell’impulso dato da Gesù e da Paolo … Il cristianesimo sta nel fondo del pensiero moderno e del suo ideale etico».

Ai nostri giorni, sulla scia di Benedetto Croce che vede nel cristianesimo il fondamento storico della civiltà occidentale, a fronte del sempre più ampio pensiero ateo, agnostico, utilitarista, scientista, pensiero che vede la religione come qualcosa di arcaico, un grande numero di cultori di antropologia umana e culturale rimane dell’idea che «una società senza Dio adombra una rivoluzione silenziosa», da cui non ci si può aspettare niente di buono.

In ogni caso, che si condivida o meno detto pensiero, è nelle aspettative di tutti che i «signori della politica», chiamati ad operare per il bene comune, siano persone esemplari, di altissimo rigore morale e trasparenza, di modo che non venga mai meno la fiducia e la stima in loro riposta dai cittadini.

Finora tali aspettative sono state totalmente deluse da detti signori e, da come stanno le cose, sembra che ogni speranza sia da riporre semmai nelle nuove generazioni.

La vita individuale e politica

In linea generale, è appena il caso di ricordare che, in natura, tutte le persone sono uguali per quanto riguarda le caratteristiche tipiche, salvo però possedere differenti qualità e capacità individuali, dissimili volontà, doti, inclinazioni e interessi le une dalle altre.

Va da sé che, in una società civile, pur a fronte di differenti qualità e capacità individuali, al fine di assicurare una pacifica convivenza umana, è fondamentale che le persone massifichino le idee e le condotte per quanto attiene il rispetto delle leggi, delle norme sociali e morali del Paese.

In considerazione del fatto che tale conformazione non è tanto semplice, il famoso psicologo svizzero di lingua tedesca Carl Gustav Jung (1875-1961) pone l’accento sugli sforzi di adattamento di ogni persona «per conformarsi alle leggi, alle norme sociali e morali del proprio ambiente».

Nei modi personali di atteggiarsi, osserva Jung, la persona tende a contenere i tratti del proprio carattere giudicati non confacenti o non conciliabili con la dignità o con le esigenze della convivenza sociale e però, nello stesso tempo, avverte nel proprio inconscio «una irrefrenabile controparte di se stessa».

In realtà, scoprendo di avere impulsi contrapposti, la persona finisce per nascondere ipocritamente la propria interiorità, quindi a celare la verità, in toto o in parte, non solo agli altri ma anche a se stessa, escogitando nel proprio inconscio infiniti motivi per farlo.

Allo stesso modo, più o meno consapevolmente, la persona non si sforza di scoprire gli angoli nascosti di verità, limitandosi a individuare una mezza verità, un frammento di verità, spesso per la paura di non reggere ai contraccolpi – su se stessa e su altri – nel possedere la nuda e cruda realtà in tutta la sua interezza.

Queste connaturate propensioni e sollecitazioni interiori, contraddistinte da impulsi contrapposti, se non dominate o represse, possono portare la persona ad agire e comportarsi in modo illogico o irrazionale.

Simile modo ipocrita di porsi e di atteggiarsi può essere in qualche misura comprensibile se la celata verità riguarda se stessi, in quanto nessuno è tenuto a fare oggetto di rivelazione dei propri sentimenti e pensieri, né tantomeno deve renderne conto ad altri.

Ben diverso è però il caso della persona che, rivestendo pubblica carica, prenda la decisione di celare agli amministrati la realtà su questioni riguardanti la pubblica amministrazione o comunque inerenti il pubblico interesse.

Nella posizione di pubblico amministratore è intollerabile occultare la verità, in quanto vuol dire rendersi responsabili di inganni nei confronti della società, oltre a manifestare possibili intenti di corruzione.

È peraltro naturale che, nell’interpretare il ruolo pubblico postulato dall’attività politica e nell’adottare valori veicolati dalla convivenza sociale, la persona sia continuamente combattuta tra un «io» interiore, un «io» ideale e un «io» sociale, correndo in questo modo un duplice rischio: dissimulare la propria vera identità, da una parte, perdere la propria identità, dall’altra.

In pratica, il rappresentante politico, la persona che riveste una carica pubblica, viene a trovarsi, di volta in volta, di fronte ad un dilemma insolubile ed è chiamata a scegliere fra opposte soluzioni.

Gli studiosi di psicologia e di etica sociale ritengono che chi ricopra una carica pubblica debba impegnarsi a mantenere un giusto equilibrio tra «io» interiore, «io» ideale e «io» sociale.

In particolare, il rappresentante politico, la persona che riveste una carica pubblica o che ricopre un pubblico ufficio, si deve adattare alle norme e ai valori sociali senza tuttavia trascurare il proprio «io» interiore, fermo restando che è tenuto comunque a salvaguardare la più importante delle tre figure, quella dell’«io» ideale.

La valutazione più difficile e impegnativa, secondo detti studiosi, resta comunque quella tra l’«io» interiore e l’«io» ideale, come risulta dalla contrapposizione del seguente schema indicativo e di larga massima:

«IO» INTERIORE   «IO» IDEALE
combattivo                 timoroso

autoritario                  indulgente

collerico                      mite

disordinato                 disciplinato

forte                            moderato

egoista                        altruista

infedele                       fedele

dissoluto                    sobrio

esuberante                  discreto

insensato                       saggio
impulsivo                   equilibrato

Ed è soprattutto nelle difficili scelte che il rappresentante politico, l’individuo che riveste una carica pubblica o che ricopre un pubblico ufficio, è maggiormente portato ad indossare la maschera dell’ipocrisia, talvolta per dissimulare la propria vera identità, talaltra per non perderla.

Nel personale quotidiano operare, sia della vita individuale che politica, l’ipocrisia, quale simulazione conscia o inconscia di buoni sentimenti, buone qualità o buone intenzioni, si può rivelare in vari modi e forme, quali ad es.:

  • comportarsi diversamente a seconda del contesto fisico in cui ci si trova ad operare, preferendo essere accettati anziché essere se stessi;
  • ostentare qualità, idealità o buoni propositi, celando un incontenibile individualismo ed egoismo;
  • ostentare gentilezza, affabilità e cortesia come forme mascherate di ipocrisia;
  • ostentare elevatezza morale o nobiltà d’animo, celando pensieri o propositi dettati da interesse personale;
  • dichiarare un dato comportamento e fare esattamente il contrario;
  • adattare il proprio pensiero alla circostanza di riferimento, in aperta contraddizione con i propri principi e valori;
  • attribuirsi qualcosa che non si ha, mettersi una maschera per autodifesa, per paura di qualcosa, per nascondere il proprio vero io o per interesse;
  • simulare ideali, sentimenti, qualità irreali o addurre scuse su scuse pur di non ammettere la realtà oggettiva;
  • preferire qualcosa che, pur sapendola falsa, va a nostro favore a qualcosa che, sebbene giusta, ci svantaggia o ci sfavorisce;
  • indignarsi se un dato fatto tocca la sfera personale, provando indifferenza verso il dolore degli altri;
  • indignarsi e reagire diversamente a seconda dei rapporti (di amicizia, indifferenza od altro) che si ha con le persone coinvolte;
  • fingere di indignarsi per gli eventi conosciuti da tutti e che hanno fatto scalpore sulle masse popolari, provando in realtà disinteresse verso gli altri.

Di segno opposto è la persona autentica, non ipocrita, sincera, genuina, schietta, aperta, la quale evita tutti questi comportamenti e vive seguendo soltanto la propria interiorità.

In psicologia, l’ipocrisia è generalmente intesa come inautenticità, come un meccanismo inconscio di difesa ed altresì come un volontario inganno. In realtà, si nota sia l’una che l’altra forma di ipocrisia, quindi si mostra sia come patologia sia come scelta consapevole, a seconda dei soggetti e degli oggetti.

La persona autentica, nella vita individuale come in quella politica, si comporta logicamente e coerentemente in ogni contesto, secondo i propri principi e valori, ed inoltre si dispone a fare solo ciò che è buono e giusto.

Infine, la persona autentica non ha idee preconcette, nei modi di essere esprime senza timore sia il suo «io» interiore che il suo «io» ideale, proponendosi di rendersi gradevole a tutti, in particolare:

  • agisce in base a motivazioni interiori, regola la propria vita secondo i propri ideali e valori e fa solo ciò che ritiene buono e giusto;
  • si sente libera ed è profondamente onesta con se stessa e con gli altri;
  • esprime la propria opinione sincera, senza paura di essere criticata e pone forte attenzione a non ferire gli altri;
  • concentra la propria attenzione sulla conoscenza di se stessa, cerca di migliorarsi, di superare i difetti e i punti deboli;
  • evita di giudicare gli altri, di esprimere valutazioni su altri, salvo i casi in cui sia chiamata ad assolvere un obbligo giuridico;
  • parla secondo la propria esperienza di vita e, se richiesto, fornisce consigli realistici, onesti e pratici;
  • tiene rapporti interpersonali improntati sulla massima onestà e correttezza;
  • mantiene in forma il proprio fisico e cura l’alimentazione.

In linea ideale, per vivere in modo autentico, ognuno dovrebbe sforzarsi di abbandonare ogni forma di ipocrisia, in quanto nuoce a se stessi e non favorisce certo i buoni rapporti con gli altri.

Inoltre, per stare bene con se stessi e per migliorare i rapporti con gli altri è necessario aprire i propri orizzonti, vedere la realtà per quello che è e non con i paraocchi, aprirsi agli altri e saper accettare un punto di vista diverso dal proprio.

Per vivere in modo autentico, è altresì necessario sforzarsi di dialogare e confrontarsi senza paura di essere giudicati, instaurare possibilmente rapporti positivi con tutti, perché solo in questo modo si possono mettere insieme le energie e capirsi vicendevolmente.

La dialettica

In senso generale, la «dialettica» è la capacità di dialogare e discutere, di svolgere un ragionamento con logica ineccepibile, di presentare le proprie argomentazioni in forma particolarmente serrata e convincente.

La classicità greco-latina, pur con diverse accezioni, considera la dialettica come lo strumento per eccellenza della filosofia.

In epoca medievale, la dialettica si identifica con la logica, divenendo un’arte del trivio, unitamente alla grammatica e alla retorica. In tema, sono importanti gli scritti del filosofo e vescovo Sant’Agostino d’Ippona (354-430), dello scrittore Marziano Capella (IV-V sec.), del filosofo francese Pietro Abelardo (1079-1142).

Anche la Scolastica ha dato ampio risalto alla dialettica, intesa come scienza del discutere rettamente, considerandola una delle sette arti liberali.

In prosieguo di tempo, in tema di dialettica, sono considerati di particolare pregio gli scritti di vari studiosi, in particolare: il filosofo francese Giovanni Buridano (1295-1361); il filosofo francese Pierre de la Ramée (1515-1572); il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804); l’umanista olandese Rudolf Agricola (1443-1485); il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831); il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788-1860); il filosofo tedesco Friedrich Schleiermacher (1768-1834); il filosofo tedesco Friedrich Engels (1820-1895); il filosofo francese Jean-Paul-Charles-Aymard Sartre (1905-1980); il filosofo tedesco Theodor Ludwig Wiesengrund-Adorno (1903-1969).

Il diplomatico e uomo politico francese Talleyrand-Périgord (1754-1838), nelle sue Memoires, scrive: la lingua era stata data agli uomini affinché potessero meglio nascondere il loro pensiero, lasciando intuire che l’ipocrisia è pressoché inevitabile nella dialettica e, più in generale, nei rapporti umani e sociali.

Non dissimile è il pensiero del famoso romanziere e saggista inglese George Orwell (1903-1950) che scrive: il linguaggio politico è costruito in modo da conferire alle bugie l’apparenza della verità e da far sembrare solido ciò che è soltanto aria, ad indicare che l’ipocrisia è una maschera che indossano più o meno tutte le persone impegnate in politica.

I «signori della politica» provano indiscutibilmente un appassionato sentimento di devozione, se non di venerazione, verso Talleyrand e verso Orwell, dimostrando ogni giorno di più di voler seguire di buon grado i relativi insegnamenti, dato che nessuno meglio di loro sa nascondere il proprio pensiero e nessuno meglio di loro sa conferire alle bugie l’apparenza della verità.

Detti signori, così facendo, confermano la loro refrattarietà alla schiettezza, alla lealtà e all’autenticità, in perfetta sintonia con il pensiero di Talleyrand e Orwell, consolidando anche l’idea che non sentono alcun dovere morale, civile e politico di essere veritieri.

Da queste preoccupanti condotte si desume inoltre che a detti onorevoli signori stanno evidentemente troppo stretti i principi di imparzialità, disciplina e onore, espressamente previsti dagli artt. 54 e 97 della Costituzione.

È spudorata ipocrisia quella degli onorevoli «signori della politica» che asseriscono, a propria giustificazione, che le qualità individuali di schiettezza, lealtà e autenticità, e che i principi di imparzialità, disciplina e onore sono di carattere generale e mancano comunque di specifiche norme attuative, ben sapendo che spetta unicamente a loro l’adozione delle norme medesime.

Ugualmente, è di puro comodo asserire che le qualità in questione non sono contemplate dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (cfr. Legge 4 agosto 1955 n. 848), che si limita a sancire:

«ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione» (art. 18);

«ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere» (art. 19).

Gli onorevoli «signori della politica», padroneggiando molto bene le regole dell’arte politica, sono certamente edotti che i contegni contrari alle qualità e ai principi costituzionali di cui agli artt. 54 e 97 non sono censurati o sanzionati in alcun modo e, corrispondentemente, non è censurata o sanzionata in alcun modo neppure l’ipocrisia.

Detti onorevoli signori, come detto sopra, si guardano bene dal colmare simile carenza legislativa, anzi non esitano ad approfittarne, talché delle falsità, menzogne, slealtà e inautenticità hanno fatto veri e propri strumenti di lavoro, in spregio dei principi di moralità, etica e correttezza.

È ben vero che l’oratoria politica è una particolare tecnica di recitazione che, per essere persuasiva ed efficace, esige particolari abilità e capacità, unitamente alla bravura di adattare e adeguare lo stile alla tribuna e alle aspettative degli ascoltatori, ma non è assolutamente detto che l’ipocrisia debba costituire una componente necessaria di tale tecnica.

Gli incontri, i dibattimenti e le dialettiche politiche avvengono dentro e fuori le aule parlamentari istituzionali, nelle pubbliche piazze o altri luoghi preordinati, ma il mezzo particolarmente caro agli oratori «signori della politica» è senza dubbio la televisione pubblica e privata.

Si sa che il modo di fare politica attraverso il piccolo schermo è illusorio e ipocrita, in quanto permette di lanciare slogan suggestivi e incontrovertibili, destinati a restare impressi nella mente degli ascoltatori, slogan che rimangono spesso incontrastati e quindi supposti come credibili.

Per suscitare apprezzamento e consenso l’uomo politico deve essere accattivante e suadente, deve dare spettacolo, deve saper conquistare il pubblico come un bravo attore di teatro.

Si deve stare molto attenti a questo tipo di dialettica dei «signori della politica», perché le loro doti di grandi oratori e di esprimersi con loquela sono funzionali solo all’offuscamento dei fatti e all’occultamento della realtà oggettiva. Infatti, alla faccia della franchezza, il loro modo di esprimersi è spesso permeato di ipocrisia, come detto sopra, e le relative espressioni oratorie, nella loro enfaticità e solennità, si rivelano sostanzialmente vuote di significato.

Un delicato aspetto dell’ipocrisia nella dialettica dei «signori della politica» è l’occultamento della realtà e del proprio pensiero con il ricorso ad espressioni vaghe, oscure, ambigue, elusive, equivoche, enigmatiche, sibilline, onde evitare di affrontare direttamente una questione, svelare un segreto o rispondere a un’insidiosa domanda.

La tattica di usare simili espressioni evasive richiede vere e proprie acrobazie dialettiche che, per come si prospettano, non esentano dall’accusa di finzione e convenzionalismo, ma ciò che importa a detti signori è fare in modo che le masse popolari, che sono in genere le persone meno colte, siano incapaci di percepire e cogliere certe sfumature.

Al riguardo, non si può fare a meno di osservare che l’uso inadeguato o inopportuno di espressioni evasive costituisce un vero e proprio abuso e quindi non può che essere tacciato di ipocrisia.

Altro aspetto delicato della dialettica politica è l’uso, da parte di detti signori, di un compiaciuto linguaggio settoriale, fatto di sesquipedalia verba, di arcaismi, di termini tecnici, di parole inutili o di espressioni infarcite di inglesismi, con il risultato di rendere ancora più incomprensibile e ambiguo il loro dire, il senso o il significato del messaggio veicolato.

Il tutto si rivela un vero e proprio espediente strumentale, infarcito di ipocrisia, posto in essere per ragioni di popolarità, di consenso e di successo, per mettere a disagio e costringere al silenzio le masse popolari o per coprire inefficienze politiche o incapacità decisionali.

Le espressioni di questo tipo di cui fanno uso spesso e volentieri i «signori della politica», ben lungi dalla chiarezza e dalla trasparenza, non possono che qualificarsi come spudorate forme di ipocrisia, di finzione, di falsità.

Lo scrittore Italo Calvino (1923-1985) notava che in politica «il linguaggio serve a nascondere più che a spiegare …, a nascondere ciò che è semplice e concreto, dietro ai giri di parole delle astrazioni generali». Le espressioni evasive, astratte e generiche, puntualizzava Calvino, hanno lo scopo «di occultare la verità».

I terreni politici più fecondi per coltivare e diffondere ipocrisia, ove si notano copiose dosi di finzione e falsità, terreni ove è anche più forte la voglia di mascherare la realtà, sono quelli dello Stato sociale, dei servizi pubblici, della situazione economica, della situazione debitoria (divenuta di dimensioni enormi) e delle liberalizzazioni economiche (amplius, cfr. Capitolo VI).

Finché i cittadini, in occasione di consultazioni elettorali o attraverso interventi diretti, non trovano il coraggio di contrastare e avversare detta squallida cultura politica, priva di oggettività, di qualità, di valori e di ideali, non possono certo lagnarsi se i politici difettano di franchezza e sono cultori di ipocrisia, se parlano senza dir nulla, e non possono neppure aspettarsi di conoscere la verità.

Resta il fatto che una simile condotta dei politici è deplorevole sotto ogni punto di vista, non potendosi che interpretare come graduale deterioramento, come segno di perdita di qualità e di decadimento morale.

La scrittura

Il verbo scrivere, nella definizione del Vocabolario Treccani Thesaurus, indica «esprimere i propri pensieri e stati d’animo attraverso la scrittura».

In senso generale, la «scrittura» è la maniera di esporre una certa cosa per iscritto, di esternare per iscritto qualcosa di personale, di comunicare per scritto idee, sentimenti, impressioni, opinioni o riflessioni.

La scrittura, per sua peculiarità, rispetta norme più rigide di quelle che regolano la lingua parlata, ove le parole non hanno presenza visiva, ed inoltre, più efficacemente del linguaggio parlato, è un mezzo appropriato di trasmissione e conservazione di dati, di informazioni e di personali opinioni.

Ai giorni nostri, i mezzi principali di formazione e stesura di atti, di annotazione, documentazione e conservazione di elementi informativi e di dati, sono rappresentati dai sistemi elettronici di scrittura.

Ma, attenzione, anche la scrittura, come il linguaggio parlato, può presentare parti di oscurità, di ambiguità, di indecisione, di meschino «dire e non dire», come può presentare forme di incoerenza e di ipocrisia e divenire così un diabolico strumento per manipolare dati e fatti di ogni genere.

Talvolta, ancora meglio della lingua parlata, la scrittura può essere imbevuta di parole vaghe o addomesticate, che si possono interpretare in tanti modi e che, ipocritamente, «dicono ma non dicono».

Se non si vuole che la propria scrittura divenga uno strumento di ipocrisia, si deve avere molto coraggio perché scrivere significa mettersi a nudo senza timore, scoprirsi ed esporre le proprie conoscenze, percezioni e sensazioni senza presunzione ma anche senza narcisismo.

In linea di principio, nella scrittura si deve anzitutto riconoscere la realtà e non allontanarsi dalla verità, perché occultare l’una o l’altra significa scegliere la strada dell’ipocrisia, per cui la chiarezza diviene un imperativo categorico, soprattutto negli atti istituzionali e amministrativi.

La realtà e la verità devono essere comunque requisiti imprescindibili, indipendentemente se lo scritto abbia destinazione pubblica o privata.

Non è da meno la scrittura professionale nei vari campi, ove la mancanza di chiarezza può occultare manipolazione di dati o di fatti e, oltre a divenire una possibile figura di ipocrisia a tutto tondo, può essere causa di pregiudizio o danni, presenti e futuri, per l’una o l’altra parte.

L’oscurità della scrittura o comunque la mancanza di chiarezza in azioni o iniziative che abbiano una destinazione pubblica (testi di legge, atti di valenza giuridica, stampa e organi di informazione, etc.), specie laddove denoti aspetti di simulazione, di doppiezza, di falsità o di finzione, non può che qualificarsi come vera e propria forma di ipocrisia.

Una scrittura oscura, ambigua, confusa o mancante di chiarezza ha l’intento di celare la realtà, di adulterare dati o notizie o di manipolare gli interlocutori e, in taluni casi, può avere anche intenti negativi di altra natura, come ad es. può occultare scopi provocatori, ingannevoli, illusori, di prendere tempo, di tergiversare, di tirare le cose alla lunga, etc.

Da qui l’esigenza di scrivere in modo chiaro, con parole precise, evitando forme vaghe o astratte, che possono alterarne la sostanza, e di evitare o limitare anche l’uso di acronimi od espressioni in lingua straniera.

Un genere di scrittura oscura, spesso inintelligibile, è in genere quella burocratica, da molti considerata inutilmente complicata ed ermetica, disseminata di arcaismi lessicali, di vocaboli di multiforme significato, di parafrasi ridondanti e ampollose, di sigle e acronimi, di richiami e contro richiami a disposizioni legislative e regolamentari, con il risultato di rendere gli atti amministrativi di difficile, se non proibitiva, lettura per la maggioranza dei cittadini.

L’oscurità della scrittura burocratica e la fraseologia pedante di difficile comprensione può derivare da motivi di vario ordine, per lo più riconducibili a fosche mire degli stessi organi istituzionali o degli autori della comunicazione amministrativa. Ecco qualche tipico caso di pubblica riprovazione:

  • atti da cui trapela il perseguimento di interessi di parte o espressione di potere fine a se stesso;
  • atti ove si nota l’intento di non farsi capire perché la chiarezza va a discapito della supremazia o del potere;
  • atti ove si nota la propensione ad usare la difficile terminologia tecnica o giuridica delle norme (leggi, statuti, regolamenti, ordinanze, determine, circolari, etc.) che stanno alla base delle comunicazioni burocratiche, senza un minimo sforzo dell’autore per rendere comprensibile il testo.

A sua volta, il funzionario estensore dello scritto non deve fare inutile sfoggio della propria erudizione giuridica o tecnica, in particolare deve accantonare l’idea:

  • che una scrittura enigmatica, ricca di formule misteriose, possa dare maggior decoro, lustro e autorevolezza alla struttura amministrativa da cui promana;
  • di far notare la propria cultura e le proprie capacità, riconoscendo come primo destinatario dello scritto non il cittadino che lo legge ma il superiore che lo firma.

Non dobbiamo dimenticare che gli scritti di difficile comprensione, siano essi pubblici o privati, oltre a rivelarsi un chiaro indice di ipocrisia, aumentano la diffidenza tra cittadini e poteri pubblici, nonché tra le parti con interessi opposti.

In questi ultimi decenni, non sono mancati studi specifici e tentativi di numerosi ministri per semplificare il linguaggio amministrativo, improntando l’intera operazione su criteri di chiarezza, precisione, uniformità, semplicità, economia.

Sulla base di tali criteri, in sede ministeriale si è concluso che:

«un testo è chiaro se ha contenuti certi, una strutturazione nitida e uno sviluppo coerente; è preciso se non si presta ad equivoci; è uniforme se permette di riconoscere senza equivoci quando ci si riferisce a uno stesso argomento; è semplice se dà la preferenza a parole conosciute dalla maggior parte dei cittadini e se organizza le frasi in modo lineare; è economico se contiene tutto quello che è necessario per lo sviluppo del suo contenuto».

Tali conclusioni ministeriali sono ineccepibili, ora non ci resta che attendere i risultati concreti che arriveranno, se arriveranno, nei secoli a venire ad opera dei posteri.

Sulla scorta delle precitate indicazioni, va rimarcato che ogni genere di scrittura che si rispetti, indipendentemente se abbia destinazione pubblica o privata, deve essere caratterizzata da uno stile chiaro e conciso.

In ultima analisi, da una scrittura – per poterla definire inappuntabile – deve spiccare un linguaggio persuasivo e convincente, scevro da imprecisioni, vaghezze, opacità, arcaismi, circonlocuzioni ridondanti, lessico inutilmente ricercato, tutte forme che possono dissimulare falsità, finzione e ipocrisia.

I media

Le verità scomode agli istrioni «signori della politica» sono spesso glissate e/o camuffate dai mezzi di comunicazione di massa, presuntivamente per ordini di scuderia, per timore di ripercussioni od altro.

In altri termini, per compiacere ai politici, i mezzi di comunicazione di massa eclissano spesso situazioni scottanti o tacciono su fatti non graditi, dimenticando che il loro primario e fondamentale dovere è quello di informare, formare e non di deformare le coscienze.

In merito a questo anomalo comportamento dei media, il famoso giornalista e saggista Indro Montanelli (1909-2001) ha inteso evidenziare schiettamente, come era solito fare, che:

«i mezzi di comunicazione di massa, troppo spesso, sono servi della politica anziché della verità».

Per le ragioni dianzi esposte, talune realtà di valenza politica vengono in qualche misura occultate, mistificate o manipolate, talché si deve amaramente constatare come la verità propinata dai mezzi di comunicazione di massa di ogni colore politico, mutatis mutandis, sia molto simile a quella della pubblicità.

L’anomalo comportamento dei media e la loro limitata o carente oggettività è presa di mira anche dallo scrittore bresciano Carl William Brown, che indirizza alla categoria dei giornalisti la velenosa battuta:

«la miglior dote dei peggior politici è l’ipocrisia,

quella dei peggior giornalisti è di mascherarla».

La battutaccia di Brown trova conferma quotidianamente: da una parte nel sentire tante diverse e generiche versioni della verità quanti sono i politici e i media che ce le propinano, dall’altra nel constatare i modi sfrontati usati dai giornalisti per schermare sgradevoli fatti o situazioni di valenza politica.

Anche se a parole si dicono indipendenti, di fatto, i mezzi di comunicazione di massa eludono la critica oggettiva, riflettono spesso interessi politici o mire ideologiche, lasciano trasparire coinvolgimenti di parte o si pongono a sostegno dei poteri forti.

La faccia di bronzo, la tendenza a mentire, l’abilità di glissare, l’ipocrisia, sembrano ormai le linee guida non solo dei «signori della politica» ma anche degli addetti ai servizi di informazione e delle comunicazioni di massa.

Per contro, c’è anche una parte marginale di sistema informativo che vede tutto, o quasi, attraverso lenti deformate individuando supposti complotti e trame, forgiate ad arte al solo fine di creare sensazionalismo, non certo con autentiche finalità chiarificatrici.

Del resto, finché partiti politici e mezzi di comunicazione di massa rimangono legati a filo doppio a fedi politiche e/o ideologie politiche ed a bassi moventi di pecunia (finanziamenti pubblici), come sono attualmente, non possiamo certo aspettarci niente di meglio e niente di diverso.

Si sa che i giornali attingono a cospicui contributi pubblici, da quelli che hanno una tiratura di poche migliaia di copie a quelli che non escono in edicola ma che arrivano per corrispondenza agli iscritti di qualche partito politico, a quelli che, con parte del denaro pubblico percepito, sovvenzionano apparati propri dei partiti politici.

Secondo l’opinione dei più, gli scandalosi finanziamenti pubblici ai giornali, oltre a costituire un enorme spreco di denaro pubblico, si rivelano un vero e proprio bavaglio alla stampa, asservita alla politica e spinta a descrivere la realtà come conviene ai potenti e ai poteri forti, rendendola non libera e indipendente, come dovrebbe essere.

L’abolizione dei finanziamenti pubblici finirebbe certamente per eliminare molti giornali, specie quelli di bassa tiratura, ma in compenso si potrebbe sperare in un’informazione più libera, priva di condizionamenti politici e ideologici, quindi più veritiera.

In effetti, i mezzi di comunicazione di massa si sentono in qualche modo impegnati a coprire od offuscare le infinite pecche della politica e i privilegi che i poteri forti e gli uomini di palazzo si procurano alla faccia degli ignari cittadini, quando non risultino giornali di partito che si limitano ad esprimere la voce del partito.

Alla luce di tutto ciò, si può spiegare il motivo per cui di verità su questioni di valenza politica ne circolano tante, quante sono i mezzi di comunicazione di massa, pur sapendo che, per definizione, non può che essere una sola.

Ci sono anche mezzi di comunicazione di massa che dimostrano molta disinvoltura nell’informazione, al punto da far pensare che si sentano ormai liberi di dire qualsiasi cosa, usando la scaltrezza di impostare un’opinabile dichiarazione o un’informazione con le parole: «recenti studi hanno dimostrato che …; gli scienziati ci dicono che …; fonti ben informate riferiscono che …, fonti vicine a … fanno sapere che …».

Con questi incipit od altri similari esordi, l’informazione è ormai divenuta una specie di «discarica» in cui si può trovare ogni genere di notizie, spesso discordanti in toto o in parte l’una con l’altra, ma anche ogni genere di dati, indicazioni, annunci, novità, commenti, etc., che in pratica sono solo fonte di enorme confusione.

Ma c’è dell’altro: ad ogni cambio di governo (nazionale o regionale) si notano non pochi transiti di giornalisti dalle sedi degli organi di stampa e di informazione alle sedi di potere, facendo così pensare che gli stessi siano persone di fiducia dei partiti e, in quanto tali, si prestino a possibili manipolazioni politiche delle notizie.

Detti anomali comportamenti dei media suscitano indignazione e screditano gli organi di informazione davanti all’opinione pubblica, oltre a porre i medesimi sullo stesso livello dei «signori della politica».

É nelle giuste aspettative di tutti poter contare su un’informazione non asservita al potere, lungi dall’ipocrisia, libera, indipendente e oggettiva, abbinata ad un pizzico di onestà da parte di chi la propone, caratteristiche tutte carenti ai giorni nostri.

I signori della politica

L’aspetto di fondo che caratterizza l’attuale pseudo democrazia è il «monopolio della politica», combinato con un perverso sistema basato unicamente sull’apparenza, sulla finzione, sull’ipocrisia.

Un Paese, qual è il nostro, in cui la democrazia è nelle mani di un ristretto numero di conformisti e omologati è un Paese ingessato che non potrà mai evolversi (amplius, cfr. la voce: Quelle di conformisti e omologati, Capitolo VI).

E ciò spiega la ragione per cui la democrazia nel nostro Paese è puramente formale e non sostanziale.

Ai «signori della politica» importa solo apparire, mettersi in vista, essere al centro dell’attenzione, fare la propria comparsa, crearsi una buona immagine pubblica, essere bravi simulatori e all’occorrenza assumere atteggiamenti improntati a cinismo e all’ipocrisia.

Detti signori si limitano ad un agire appiattito sul presente, privo di contenuti innovativi, all’occorrenza non esitano ad assumere difformi contegni e posizioni incoerenti, anche da un momento all’altro.

Le principali qualificazioni e/o specialità dei professionisti della politica si possono ricondurre a tre grandi categorie:

  • appartiene alla prima categoria chi conosce l’arte della menzogna e sa esercitarla in modo tale che non possa mai venire smentito;
  • appartiene alla seconda categoria il raffinato ingannatore professionista che, attraverso allusioni o l’uso di parole ambigue, lascia che i comuni mortali credano alle apparenze o a quello che a loro piace credere, facendoli così cadere da soli nell’inganno;
  • appartiene alla terza categoria l’estremista e/o il massimalista che ostenta anacronistiche ideologie e che, per renderle credibili e verosimili, ricorre alla demagogia, all’ipocrisia o al finto moralismo.

Il vero politico, leale ed autentico, al contrario, predilige in primo luogo la sincerità nel parlare e nel manifestare qualcosa, sa attenersi spontaneamente alla verità, sia per dovere morale sia per scrupolo di coscienza. Peccato che finora non si sia ancora vista una simile figura di politico e che rimanga una chimera ai giorni nostri.

La realtà odierna dimostra che i «signori della politica» di ogni formazione e schieramento imparano presto a conoscere e far tesoro della celebre massima del grande maestro di politica Nicolò Machiavelli (1469-1527):

«al Principe è necessario essere gran simulatore e dissimulatore».

Nel contempo, sapendo che le loro condotte hanno una ricaduta negativa negli orientamenti dell’opinione pubblica, detti signori si guardano bene dal rendersi invisi ai loro elettori, perciò all’occorrenza sono pronti ad assumere condotte generiche, basate sulla pura apparenza, fonte naturale dell’ipocrisia.

Ciò che conta per il politico è salvare l’esteriorità in qualsiasi maniera, salvare la forma, salvare l’immagine positiva di se stesso, mostrarsi altro da ciò che è realmente, tutte condotte che rivelano la sua infida personalità.

Se ne deduce che nel mondo della politica nulla è più comune della menzogna, dell’asserzione insincera, della pseudo verità da parte delle persone di partito, persone che atteggiandosi in questo modo suscitano indignazione da qualsiasi parte si vogliano considerare.

I fatti politici caratterizzati da scaltrezza, astuzia e furbizia sono pratica quotidiana di ordinaria ipocrisia, fatti che denotano riprovevoli condotte politiche e/o che tendono ad appannare la verità su aspetti di valenza politica, quali sono ad es. i seguenti:

  • dimostrare una duplice personalità, da una parte si mostrano animati da buoni intenti, dall’altra sono inguaribili bugiardi, lontani dalla verità, contrassegnati da furbizie degli uni a scapito di altri;
  • celare accuratamente la vera personalità, mostrando quell’identità più consona al momento, ed usare abilmente l’ipocrisia per celare le condotte e le malefatte;
  • fondare i contegni sull’equivoco e sull’ipocrisia, pur di rappresentare solo ciò che piace ai propri elettori;
  • tenere condotte fondate sull’ipocrisia, come affermare un’idea e comportarsi in maniera contraddittoria o incongruente ad essa;
  • ricorrere a quel genere di pseudo verità che solo apparentemente risolvono i problemi;
  • mistificare, deformare, alterare, adulterare, distorcere, travisare, occultare, negare la verità;
  • glissare o offuscare deliberatamente una verità per ragioni di opportunità o di convenienza politica;
  • manipolare o enfatizzare la verità dei fatti per fini sleali;
  • portare la maschera della falsità, di fronte a se stessi e agli altri;
  • inventare frasi dai contesti originari per ricavarne contenuti opposti a quelli reali;
  • irrefrenabile bisogno di sedurre l’altro per poi poterlo usare;
  • fare in modo di rappresentare solo ciò che piace agli elettori, in particolare a quelli di dichiarata fede politica, non preoccupandosi se i contegni tenuti risultino fondati sull’equivoco o sull’ipocrisia;
  • dimostrare incapacità operativa, di crescere, svilupparsi e maturare;
  • dimostrare incapacità di avere sani propositi di correttezza e onestà;
  • dimostrare incapacità di stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e correlata incapacità di decidere di conseguenza;
  • dimostrare disinteresse nei confronti dell’avversa realtà quotidiana, distogliendo le attenzioni con argomentazioni di comodo;
  • avere spiccata tendenza a tenere condotte scorrette, prive di rigore morale e contrarie all’etica;
  • fare grandi promesse, ben sapendo a priori che non c’è la possibilità o volontà di mantenerle;
  • dimostrarsi sempre pronti ad abbandonare fedi politiche e rinnegare dottrine prima professate, per pura convenienza o interesse personale;
  • essere inclini alle metamorfosi, alle birbonerie, alla menzogna per assecondare o compiacere qualcuno;
  • avere il naso lungo per fiutare convenienze e utilità politiche presenti o future;
  • spiccata attitudine a cambiare scranno politico, per calcolo o utilità, ma non l’indole perversa che rimane sempre la stessa.

Queste non sono che alcune rapide allusioni ai sistemici comportamenti di ipocrisia degli odierni politici, altri esempi pratici si potrebbero aggiungere ma per inquadrare la tematica sembrano comunque sufficienti quelli suesposti.

Come più volte sottolineato, tra le immagini negative che esibiscono i «signori della politica» fa spicco il deprecabile malcostume dell’ipocrisia. Infatti, si nota la tendenza di tali signori ad affermare un’idea e comportarsi poi secondo tutt’altri principi, allo scopo di farsi benvolere o rendersi graditi al maggior numero di persone oppure allo scopo di mascherarsi dietro ad una facciata di perbenismo. In buona sostanza, si riscontrano forme generalizzate di incongruenza e illogicità tra ciò che enunciano esplicitamente e le azioni effettivamente svolte.

I «signori della politica» che si macchiano di simili disonorevoli condotte di ipocrisia, quando si vedono scoperti, reagiscono in modo altrettanto ipocrita, nel vano tentativo di spiegare e giustificare il perverso comportamento assunto, dichiarandosi estranei al fatto addebitato o attribuendolo a circostanze straordinarie, a cause imprevedibili, a motivi contingenti, etc.

I più raffinati nell’arte politica, nel vano tentativo di giustificare l’incongruente comportamento tenuto, sanno poi giocare sul doppio senso delle affermazioni proprie o di altri, rendendo la situazione ancora più grottesca di quello che è.

Sconcerta il diffondersi dell’ipocrisia in campo politico ed è angosciante dover constatare come le forme generalizzate di incongruenza abbiano generato una delusione sociale senza precedenti.

È nelle aspettative di tutti che i «signori della politica», nell’esercizio del potere, si impegnino a scegliere sempre la verità e non la falsità e l’ipocrisia, mentre nei fatti si verifica esattamente l’opposto, fino al punto che sembra si prendano gioco degli ignari cittadini, sventurate vittime.

Il filosofo inglese Francis Bacon (1561 – 1626), argomentando sul tema della menzogna, afferma schiettamente che i potenti (le autorità in genere), abusando dei loro poteri, tendono ad alterare le cose in modo tale da occultare la verità su certi fatti, soprattutto quando abbiano valenza politica (Francis Bacon, De dignitate et argumentis scientiarum, I, 27).

L’inquietante premonizione di Bacon ha trovato fertile terreno di coltura nella classe politica dei giorni nostri. Infatti, i «signori della politica» sono portati a camuffare le cose con estrema disinvoltura e, avvalendosi anche dei media, forniscono versioni dei fatti diverse da partito a partito e da politico a politico, per cui le masse popolari ben difficilmente riescono ad avere un quadro oggettivo della situazione.

Con incredibile sfrontatezza detti signori tendono a celare ai cittadini le loro birbonate e le verità scomode, deviandone l’attenzione con tutti gli espedienti possibili, in quanto sanno che la conoscenza delle medesime farebbe venir meno il consenso e sarebbe foriera di pericolosi conflitti, sia politici che sociali. Qualora venga alla luce qualche loro comportamento o azione disdicevole, hanno la spudoratezza di giustificarsi dicendo che, in fondo, celare o deviare la verità non significa negarla. Le fandonie e le pseudo verità politiche sono particolarmente largheggianti nelle campagne elettorali, nelle comunicazioni e nelle informazioni in genere.

La ragione di tale deprecabile modus operandi è da ricercarsi nel fatto che, il più delle volte, la verità è pericolosamente divisiva anche tra le forze dello stesso partito politico, figuriamoci nei riguardi degli altri e, soprattutto, di quelli costituenti la minoranza politica.

Questi brevi cenni dimostrano, se ce ne fosse bisogno, che gli istrioni «signori della politica» considerano la verità come un «disvalore politico», causa di potenziali divisioni e conflitti ad ogni livello, in campo politico, economico e sociale.

Dai comportamenti tenuti deriva che detti signori agiscono prescindendo dall’etica pubblica, ragionano con la testa del partito di appartenenza, agiscono secondo il tornaconto personale, tutelano solo la propria comodità, interessi di casta e di corporazione, difendono propri interessi e privilegi in modo intransigente.

Un simile modo di agire denota il venir meno di salienti aspetti valoriali, della morale e della rettitudine, con deleteri riflessi sia nella sfera pubblica che privata.

Nel criticare aspramente le pseudo verità, le menzogne, le affermazioni insincere dei «signori della politica» e dei poteri forti in genere, la saggista Lorella Cedroni ha icasticamente scritto: «esse sono il motore della politica, la linfa della storia, il succo della cronaca e il cuore dell’economia».

I «signori della politica» si reputano esseri superiori quando, con giri di parole, riescono ad eclissare fatti o situazioni politiche scottanti o quando mentono sapendo di mentire.

Oggi, più che mai, constatiamo tristemente come i metodi politici siano tutti improntati sulla finzione, caratterizzati da ipocrisia dilagante, a dispetto dei principi morali e dei valori civili, etici, sociali.

Di più, i nostri camaleonti «signori della politica», non si limitano a essere scaltri maestri di ipocrisia e di incoerenza ma hanno anche la faccia tosta di conformarsi ad ogni variar di fronda, tenendo sempre in riserbo un’infinita serie di deplorevoli espedienti, per numero e varietà, tutti volti a camuffare la realtà.

Detti signori, come riferito più sopra, agiscono prescindendo dai valori morali e dall’etica pubblica, ragionano con la testa del partito di appartenenza, tutelano solo la propria comodità, interessi di casta e di corporazione, difendono propri interessi e privilegi in modo intransigente.

Da come si comportano, sembra che i «signori della politica» non abbiano la benchè minima cognizione del bene comune e del corretto agire politico, dando l’impressione di operare per l’interesse immediato dei particolarismi dei partiti, in aperto contrasto con l’interesse generale della collettività.

Se si osserva la realtà fattuale, si ha insomma l’impressione che detti signori non operino avendo di mira gli interessi del Paese, il bene di tutti i cittadini, con particolare attenzione per i più deboli, ma il bene di pochi a danno dei più.

Simile deformata condotta dei «signori della politica» manifesta ipocrisia, menzogna e inganno nella gestione del potere ed è il prodotto di una casta autoreferenziale dalle menti politiche irrimediabilmente bacate e corrotte.

Detti signori, così facendo, danno continua prova di essere privi di valori autentici, di valori universalmente riconosciuti del bene e della giustizia; a forza di fingere non sono più capaci di distinguere il bene dal male, il vero dal falso. In tal modo, rendono praticamente imperscrutabile il rapporto tra verità e potere, tra verità ed esercizio del potere, spesso anche mascherandolo con presunte ma di fatto insussistenti «ragion di Stato».

Ancora, sembra che gli spregiudicati «signori della politica» abbiano elevato l’ingiustizia a sistema politico, scambiando con spudoratezza gli interessi del partito, individuali o di parte, con il bene comune.

Taluni di questi signori usano anche il pretesto dell’asserita fede religiosa per schermare interessi di parte o del partito di appartenenza, nella prospettiva di obiettivi politici o di vile pecunia.

A fronte di ciò, la prima domanda che viene da porsi è la seguente: ma come facciamo a non capire che per oltre sessant’anni i «signori della politica» hanno carpito la nostra buona fede per sgovernare il Paese, in un crescente decadimento morale e civile? Come facciamo a non capire che tali signori hanno ipotecato il futuro del Paese accumulando un debito pubblico di enormi proporzioni, i cui interessi passivi costano oltre 90 miliardi all’anno (quattro volte il deficit)? Come possiamo considerare credibili questi signori che chiedono con sfrontatezza all’Europa «flessibilità per ulteriore debito pubblico» da lasciare in eredità a figli e nipoti? Come possiamo tollerare il turpe sistema elettorale che ci hanno ingiunto tali insigni signori, professionisti dell’arte politica, con il quale possono eleggersi e rieleggersi a piacimento e che, per giunta, consente di rappresentare solo se stessi e i partiti di appartenenza e non i cittadini?

Detti disonorevoli signori, con simili condotte, hanno fatto strame dei fondamentali principi di democrazia e hanno dato ampia dimostrazione di refrattarietà alle norme contemplate dall’art. 21 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (cfr. Legge 4 agosto 1955 n. 848), secondo cui:

«ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti» (primo comma);

«la volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione» (terzo comma).

Come si fa a non cogliere l’imperante e spudorata ipocrisia di detti ignobili signori, che con la loro perversa politica hanno calpestato i valori universali e ogni principio di etica e di moralità pubblica?

Come si fa a non rendersi conto che i disonorevoli «signori della politica, oltre ad aver disconosciuto i valori morali ed etici, hanno agito in spregio dei dettati costituzionali, hanno schermato la realtà e hanno sfrontatamente tradito ogni aspettativa in loro riposta?.

Come si fa a non capire che i disonorevoli «signori della politica, nel precipuo intento di assicurarsi una lunga permanenza in carica, hanno reiteratamente turlupinato gli ignari cittadini occultando loro la verità?

Tutto ciò dimostra ampiamente, se ce ne fosse bisogno, che detti disonorevoli signori coltivano arcane mire politiche fondate sulla finzione e sull’ipocrisia e dimostra altresì che hanno a cuore solo interessi di parte e quelli del partito di appartenenza, che si prodigano in modo autoreferenziale, con grave detrimento per gli interessi del Paese.

I disonorevoli «signori della politica» sanno bene che la loro fortuna è data dal basso livello culturale delle masse popolari, che infatti si guardano bene dall’elevare, costituendo una garanzia di permanenza in poltrona fino alla fine dei loro giorni.

In questo stato di cose, le masse, sciaguratamente, hanno scarsi mezzi e opportunità per appurare la verità su fatti di valenza politica, per cui sono indotte a prestare fede alla versione di parte qualunque essa sia, trovandosi nell’impossibilità di scrutare differenti fonti per appurare la verità oggettiva.

Si giunge così all’amara constatazione che, per i più, prevale la pseudo verità dei disonorevoli «signori della politica» che la impongono non con la forza della ragione ma con la forza del potere.

Nel nostro Paese necessita un processo di acculturazione delle masse, un’innovativa politica di sviluppo economico ed una vera politica di liberalizzazioni economiche, un mercato concorrenziale che tolga di mezzo gli anacronistici servizi in regime di monopolio o in mano alla partitocrazia (elettricità, telecomunicazioni, poste, trasporti, gas, etc.). Gli uni e gli altri servizi sono inefficienti, eccessivamente costosi per le tasche del cittadino, spesso presentano situazioni fortemente deficitarie, in ogni caso paralizzano l’economia. I nostri modelli di gestione dei servizi pubblici, in conduzione di pseudo privatizzazione di tipo «partitocratico», presentano enormi inadeguatezze gestionali e si reggono solo per effetto dei consistenti trasferimenti pubblici o comunque di sostegni pubblici.

Gli onorevoli «signori della politica», potendo contare sul basso livello culturale delle masse, hanno dato origine ad una società basata sul clientelismo politico e partitico, in cui i privilegi vengono tramandati di generazione in generazione, una società di fortunati e di prepotenti, che possono vivere tranquilli a spese di chi, privo di conoscenze e di appoggi politici, è destinato a condurre un’esistenza sventurata, indipendentemente dal suo impegno e dalle sue capacità.

Alla luce di simile disastro politico ed economico, si avverte un urgente bisogno di un radicale cambiamento di rotta, di una totale «rottamazione» dell’intera classe politica, di una forte carica di rigore morale e di trasparenza, oltre che di una verità vera ed a portata di tutti, non di molte verità o di pseudo verità.

Se vogliamo considerare la precitata situazione sotto il profilo storico, le principali responsabilità del decadimento dei valori morali tradizionali non possono che ricadere sui «signori della politica» di dichiarata fede cattolica, i quali non hanno mai dato prova di seguire una coerente e ben definita linea politica, né tanto meno hanno mai dimostrato unitarietà, coerenza e lungimiranza.

In altri termini, sul piano fattuale, a riguardo dei valori morali tradizionali, non si è mai colta una netta presa di posizione tra onorevoli signori della politica che si riconoscono nel pensiero della cattolicità e altri che si riconoscono nel pensiero laicista, per cui è difficile pensare ad una sostanziale differenza tra gli uni e gli altri.

E così nella moderna società del benessere è prevalsa la secolarizzazione, il laicismo, il libertinismo di massa, il materialismo e il relativismo integrale, come conseguenza del fallimento della cultura tradizionale.

I temi sui quali i «signori della politica» di dichiarata fede cattolica non hanno mai inteso manifestare chiaramente la propria rigorosa opinione e posizione, sono quelli dell’antropologia culturale e dei valori morali, temi lasciati cadere nel vuoto senza muovere un dito da parte di nessuno.

Il risultato dell’indifferenza e dell’incoerenza di detti signori e del loro mancato impegno a difesa dell’antropologia naturale e dei valori morali tradizionali, al nostro tempo, è un pluralismo culturale ed etico fuori controllo, un generale sentimento di vacuità della vita umana e un diffuso senso falsato della realtà sociale e politica.

A questo proposito, il Papa San Giovanni Paolo II, nel memorabile discorso al Parlamento italiano del 14 novembre 2002, ebbe a puntualizzare:

«…nella Lettera enciclica Veritatis splendor mettevo in guardia dal rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità».

In quell’occasione, il Pontefice poi Santo evidenziava altresì che nell’ulteriore Lettera enciclica Centesimus annus, annotava che:

«…le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia».

I fatti dimostrano che le memorabili parole pronunciate dal futuro Santo davanti al Parlamento italiano sono rimaste totalmente inascoltate.

Per il bene del Paese, è auspicabile un pronto ravvedimento degli onorevoli «signori della politica» di dichiarata fede cattolica affinché, forti dei segni premonitori del Papa San Giovanni Paolo II, sappiano presentare un progetto, autenticamente democratico, nel solco di un liberalismo etico-politico centrato in particolare:

  • sul rispetto della persona umana e della sua libertà;
  • sulla riaffermazione dei valori tradizionali;
  • sul rinnovamento morale della società;
  • sul metodo della persuasione;
  • sul principio che ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione;
  • sull’idea di fonti di informazione plurime, indipendenti e imparziali;
  • sull’eliminazione delle più vistose disuguaglianze socio-economiche.

In termini pratico-operativi, gli onorevoli «signori della politica» che si dichiarano di fede cattolica non possono non avere una propria strutturazione, una linea politica unitaria, un progetto politico coerente e lungimirante.

L’attuale collocazione dei «signori della politica» di fede cattolica negli svariati partiti dell’arco costituzionale di segno opposto alla cristianità, oltre che porsi in aperto contrasto con il pensiero e gli ideali della medesima denota ipocrisia a tutto tondo.

Allo stato attuale, per i fenomeni di sincretismo e di promiscuità dianzi esposti, gli onorevoli «signori della politica» di dichiarata fede cattolica non possono essere reputati affidabili né credibili.

Tra i difetti di fondo e le innumerevoli pecche dei «signori della politica» figurano i discorsi sempre vaghi e generici, impregnati di menzogneri luoghi comuni, adatti ad ogni evenienza.

Invero, anche gli stessi media non danno il dovuto rilievo a fatti sgraditi e a notizie di valenza politica incresciose, le loro esposizioni su tali fatti e notizie sono superficiali in modo da non suscitare l’indignazione pubblica, il tutto all’insegna di un’apparente immagine di organizzazione perfetta, di istituzioni e servizi pubblici apparentemente efficienti.

Non c’è chi non veda, ad esempio, che le istituzioni ed i servizi pubblici sono antiquati e non certo all’altezza della situazione e che anche le neo create pseudo aziende per la gestione di pubblici servizi non hanno di fatto risolto i problemi. Tali aziende sono quasi sempre prese a pretesto per creare comode poltrone e per assecondare interessi particolari di partitocrazia, quali in particolare: conferimento di potere al rappresentante politico, occasione di raccolta clientelare del consenso.

Se osserviamo attentamente, lo stesso sistema istituzionale è impregnato di ipocrisia: da una parte si parla ipocritamente di privatizzazione del rapporto di lavoro (ambigua trovata politica nel vano tentativo di recuperare credibilità) e nel contempo si pretende di conservare tutti i vecchi privilegi, dall’altra i sottoscrittori dei contratti di lavoro hanno creato un appiattimento generalizzato, disconoscendo la premiazione e la punizione di chi le merita, con valutazioni fatte da esperti esterni. Ma di ciò nei discorsi politici non si fa cenno e i media nulla dicono o possono dire.

Un aspetto dolente che nei discorsi politici viene a stento sfumato, ma mai chiarito in tutta la sua preoccupante realtà, è quello dell’emergenza economica, dell’economia a crescita zero e nel sud del Paese a crescita meno di zero, quando i «signori della politica» dovrebbero sentire l’obbligo morale non solo di rendere note le problematiche ma soprattutto di individuarne le cause e di porvi rimedio.

Altro aspetto dolente è quello delle mafie e della criminalità organizzata, fenomeno che nelle pseudo verità di detti «signori della politica» si tende sempre a minimizzare, quando invece andrebbe affrontato in tutta la sua ampiezza e gravità, rendendo noti ai cittadini i risultati raggiunti.

Di particolare gravità è poi il problema dell’inquinamento derivante da iniziative o attività umane destinate a provocare alterazioni dell’ecosistema o trasformazioni nocive per la vita, come anche da attività che alterano le caratteristiche dell’acqua, del suolo o dell’aria con sostanze dannose per l’ambiente o per la salute degli esseri umani, attività che compromettono in qualche modo la qualità della vita.

Dette iniziative e attività umane, come è noto, sottostanno a tre poteri decisionali: a) non possono prescindere dall’apporto della scienza; b) il loro compimento non può prescindere da specifiche approvazioni e/o concessioni da parte di organi tecnici; c) la loro realizzazione concreta non può prescindere da una specifica autorizzazione dell’autorità amministrativa. Se i tre poteri decisionali in questione, per connivenza, interessi economici od altro vengono meno ai loro tassativi obblighi d’istituto, devono tutti rispondere solidalmente dei danni arrecati.

Va da sé che come l’autorità politica e/o amministrativa ha il preciso obbligo giuridico e morale di impedire qualsiasi iniziativa dannosa per l’ambiente o per la salute degli esseri umani, così la scienza e gli organi tecnici non possono tacere la verità sulla pericolosità delle citate attività umane.

Ulteriore questione dolente, sulla quale gli onorevoli «signori della politica» intonano spesso e volentieri pseudo verità politiche, è quella delle c. d. missioni di pace nei vari Paesi del mondo, che tali non sono perché i militari italiani operano in zone di guerra e in pieno assetto di guerra. Attraverso tale ipocrisia detti signori si arrogano il diritto di superare il dettato di cui all’art. 11 Cost, secondo cui l’Italia ripudia la guerra. Oltre al sacrificio di numerose vite umane, che non hanno prezzo, per le c. d. missioni di pace l’Italia deve sostenere ingenti spese, spese che i politici si guardano bene dal rivelare nella loro reale e complessiva entità.

La lista dei colpevoli mutismi dei «signori della politica», delle loro pseudo verità e ipocrisie è sconfinata ed investe tutti i campi della vita pubblica: opere pubbliche iniziate e mai ultimate (ospedali, carceri, scuole, strade, ponti, impianti sportivi, etc.); sprechi di denaro pubblico per scopi elettoralistici o clientelari; mancato rispetto dell’ambiente (abusivismo, rifiuti solidi urbani); lottizzazione degli incarichi politici, etc.

Detti onorevoli signori non amano parlare dei problemi scottanti, per lo più derivanti da responsabilità politiche, né amano parlare dei veri guai del nostro Paese, e quando sono messi alle strette ci propinano ipocrisie, mezze verità e/o pseudo verità, lasciandoci nel contempo intuire che in fondo in fondo sono cose normali della vita.

A fronte di tali perfide condotte politiche, si ha l’impressione di trovarsi in presenza di un convenzionalismo pubblico e di un conformismo generalizzato senza uguali, ormai diventato una cappa insopportabile.

In particolare, sembra di essere in presenza di un generale velo di silenzi, di reticenze e di ipocrisie, con cui i politici da troppo tempo occultano l’effettiva realtà, perciò i cittadini non sono posti nella condizione di capire come funziona realmente la macchina pubblica e la società italiana.

I «signori della politica», mentitori per antonomasia, non si sono limitati ad elevare la menzogna ad una vera e propria attività professionale ma intendono spadroneggiare in tutti i modi. Avvalendosi di carte false, gestiscono le vicende politiche con le armi della doppiezza, della fandonia, dell’ipocrisia, dell’inattendibilità, dell’infondatezza, delle allusioni e delle illusioni.

Tra le spregevoli condotte e le esecrabili armi che utilizzano gli istrioni «signori della politica» per occultare o snaturare la realtà fattuale, per disseminare ipocrisia a destra e a manca, figurano le seguenti:

  • partono dall’idea che con la verità non si ottiene nulla e non si va da nessuna parte;
  • edulcorano le arretratezze dell’Italia, facendo leva anche sui mezzi di comunicazione di massa;
  • rapportano la nostra realtà a quella di Paesi sottosviluppati, evitando il confronto con le civiltà e il progresso dei vari Paesi europei;
  • usano ufficialmente la «trasparenza» come bandiera, mentre nei fatti sono i più raffinati simulatori;
  • conoscono solo l’abiezione nel loro agire politico e non si fanno riguardo per alcuno;
  • manipolano a proprio favore le notizie per indebolire gli avversari politici e per offuscare la realtà;
  • alterano sistematicamente i fatti e gli eventi facendo in modo che possa ben figurare il proprio partito, a danno di altri, al fine di attirare nuovi iscritti e nuovi simpatizzanti ma anche al fine di accreditarsi prestigio e popolarità;
  • mistificano le coscienze, al fine di uniformarle alle ideologie e agli interessi elettoralistici del partito di appartenenza;
  • creano una sorta di assopimento delle coscienze degli iscritti al partito e dei vari simpatizzanti affinché possano emergere e svilupparsi senza patemi di sorta le ideologie, le demagogie e gli interessi del partito;
  • parlano e operano solo secondo l’utile del partito di appartenenza, o in funzione della relativa ideologia, prescindendo dalle reali ed oggettive necessità ed esigenze dei cittadini;
  • nel parlare abusano della vaghezza e della genericità, ben sapendo che la parola, in campo politico, è tanto più utile quanto più è ambigua;
  • si danno arie di sapere ogni cosa, avendo imparato che l’abilità nel fingere è sicura garanzia di carriera politica.

Da questi brevi cenni si ha la netta sensazione che gli istrioni «signori della politica» siano abili divulgatori di ipocrisie e adulteratori della realtà, onde assecondare celate ideologie, bieche demagogie, perversi propositi politici o interessi elettoralistici.

Detti signori, nell’intento di rendere accettabile la loro conduzione politica e di sfuggire alle loro responsabilità politiche e morali, fanno molta fatica a usare il semplice linguaggio della verità.

In breve, il mondo della politica risulta disseminato di individui senza scrupoli, ammorbati dal potere che avvelena anche la loro stessa esistenza, individui che hanno in mente solo la poltrona sicura e, per conservarla, sono pronti a ricorrere ad ogni artificio, ad ogni falsità, ad ogni ipocrisia, ad ogni idea demenziale, ad ogni inganno politico.

I «signori della politica» sono anche mossi e corroborati da un’incoercibile brama di potere, dalla smania di garantirsi il controllo sui centri di interesse e dalla voglia irrefrenabile di dominare sugli altri.

Si ha l’impressione che nessuno di questi onorevoli signori si ponga il problema dell’autenticità e della schiettezza, anzi sembra che l’apparenza e la menzogna siano ordinariamente elevate a sistema.

Da notare, fra l’altro, che i «signori della politica» dei vari Enti istituzionali, specie quelli di maggiori dimensioni, risultano alquanto restii a dotarsi di un codice di condotta politica, stante anche l’assenza di specifica legislazione nazionale in materia.

Le stesse Autority sembrano allineate agli orientamenti, al convenzionalismo e al conformismo dell’apparato politico, limitandosi a qualche grida di manzoniana memoria e niente più, per cui allo stato attuale si può dubitare della loro effettiva utilità.

A fronte di tale torbida situazione, non c’è da meravigliarsi se i cittadini nutrono una diffusa sensazione di sfiducia verso i «signori della politica» e verso le istituzioni, sfiducia che è all’origine del preoccupante fenomeno dell’astensione dal voto e dell’antipolitica, intesa come opposizione ai partiti e agli esponenti politici, ritenuti dediti a interessi particolari e non al bene comune.

Inutile dire che il deprecabile ricorso alla menzogna politica, all’ipocrisia e alle pseudo verità politiche, di cui si è detto più sopra, costituisce la negazione dell’etica, della deontologia e della morale comune.

Per sottrarsi alle iniquità sociali, per rimuovere l’ipocrisia politica generalizzata, per affrancarsi dalla sovranità dei «signori della politica», per non diventare sudditi, i cittadini devono impegnarsi a fondo in tutti i modi ed in particolare devono:

  • opporsi ai numerosi soprusi inflitti dai poteri pubblici e dai poteri forti;
  • battersi per la giustizia, l’uguaglianza, la dignità, il rispetto della persona;
  • battersi per il rispetto dei valori universalmente riconosciuti del bene, della giustizia e dei diritti umani (cfr. Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948; Legge 4 agosto 1955 n. 848);
  • battersi per iniziative concrete volte a cambiare tutto ciò che è sbagliato.

Finché gli onorevoli «signori della politica» considerano l’ipocrisia come l’essenza della politica e la scelgono come sistema operativo, finché tali signori non si adoperano fattivamente per arrestare la depravazione, finché negano l’evidenza, finché disconoscono la verità e la trasparenza, non si può certo sperare in un cambiamento di rotta.

Finché i cittadini, a loro volta, restano inattivi, si abbandonano alla rassegnazione e si assuefanno al perverso sistema in atto, il malcostume, le iniquità sociali e i soprusi dei «signori della politica» e dei poteri forti non potranno che estendersi a macchia d’olio e abbattersi pesantemente su di loro.

Si avverte un disperato bisogno di una vera e propria metamorfosi politica, ma finché i cittadini non si ricorderanno di quanto sopra nel segreto delle urne non si potrà certo sperare in un radicale cambiamento della pesante situazione attuale.